Recensioni

Firenze - dal 29 Giugno 2023 al 13 Luglio 2023 
“Segni d’acqua e di colore” è il titolo della mostra di acquerelli che la nota pittrice verbanese Carla Chiaberta Barabino espone da ieri al 13 luglio presso Vittoni Space Florence Life & Art a Firenze
. Nel capoluogo toscano l’Artista presenta una serie di opere che riassumono ed evidenziano la tecnica e i temi a lei più cari. La delicatezza dei tratti cromatici che si fondono quali magicamente con l’elemento fluido dell’acqua, si traduce in immagini floreali ritratte nello scorrere delle stagioni, in paesaggi e atmosfere evanescenti e in pallidi ricordi. Quasi fosse una poesia, l’acquerello diventa per l’Artista espressione di emozioni e sentimenti.
(fonte galleria Vittoni Space)

 

 

 

Giovedì 29 giugno 2023 alle ore 18.00 si inaugura la mostra personale della pittrice Carla Chiaberta intitolata “Segni d’acqua e di colore”. Per l’occasione il violinista Lorenzo Stefano eseguirà alcune arie di Vivaldi tratte da Le Quattro Stagioni.

Una quarantina le opere in mostra fino al 13 luglio 2023 dell’artista torinese attiva a Verbania sul Lago Maggiore, avviata giovanissima alla pittura ed entrata nel 1988 nell’Associazione Italiana Acquerellisti conseguendo prestigiosi premi sia in Italia che all’estero. E’ l’acquerello la sua ‘cifra’ distintiva per una pennellata fresca ed amabile, ispirata ai paesaggi della sua vita, il lago Maggiore con le sue isole, i suoi giardini, la sua rigogliosa vegetazione.
La tecnica dell’acquerello unita a quella del collage creano composizioni originali mettendo in scena scorci di paesaggi con spartiti musicali e dando vita a linee melodiche e composizione figurative uniche e raffinate.

“Questo nuovo spazio aperto nel cuore della città rappresenta la realizzazione di un sogno della mia vita e la manifestazione del profondo amore per Firenze – dichiara Tiziana Vittoni. “Carla Chiaberta è un’artista che ha partecipato a importanti mostre in tutto il mondo. I suoi acquerelli che ritraggono l’affascinante mondo della natura, dei fiori e della musica hanno il potere di catturare l’attenzione del visitatore grazie ad una pittura fresca e immediata capace di emozionare e di arrivare diritta al cuore”.

(fonte portale Giovani Firenze)

 

 

LUCI E COLORI DI CARLA CHIABERTA - Torino, 14 aprile 2012
La stagione espositiva della Galleria La Conchiglia si arricchisce della personale di Carla Chiaberta Barabino, di un’esperienza in cui luce e colore si fondono in sequenze di immagini realizzate con il leggero tocco dell’acquerello.
Per questo appuntamento, Diana Casavecchia Chiaberto ha aperto le sale della galleria a una ricerca espressiva scandita nello spazio del foglio di carta, dove si coglie una fresca vena narrativa, una calibrata definizione di una raffigurazione mai insistita, ma risolta con una sapiente misura espressiva.
Torinese, acquerellista, Carla Chiaberta Barabino vive e lavora a Verbania- Intra, sul Lago Maggiore, dove traduce la realtà in pagine dal linguaggio sensibile al variare delle stagioni, in una sorta di limpida comunicazione che unisce il volo di un gabbiano a un delicato nudino femminile, un mazzo di fiori a nitide strutture architettoniche.
Il discorso dell’artista, che si perfeziona alla scuola del “Gruppo artistico Mediolanum” di Milano, costituisce una ben precisa testimonianza del felice impiego dell’acquerello per trasmettere le interiori emozioni, per raccontare il fascino della luce che accende il paesaggio e le rive del lago, per entrare in diretta sintonia con il territorio e l’ambiente urbano.
Invitata alle rassegne d’arte di Parigi (Salon d’Automne), San Pietroburgo, Verbania Pallanza (Palazzo Viani Visconti) e al Museo dell’Acquerello di Città del Messico, l’artista affida ai fogli di un diario personalissimo il senso profondo di una natura rivisitata e reinterpretata con sottile poesia.
Angelo Mistrangelo (La Stampa)

LA CICALA E LA FORMICA
Acquerelli di Carla Chiaberta a Villa Giulia.
Omaggio artistico al grande direttore d’orchestra Arturo Toscanini.
Accanto a ritratti e paesaggi, a luminosi squarci di giardino e immagini floreali, nella mostra di Villa Giulia hanno avuto particolare rilievo e significato gli acquerelli ispirati alla musica. In quest’ultima fase della sua ricerca la pittrice ha usato spartiti musicali all’interno delle sue composizioni,e ciò ha dettato l’opportuno collegamento con i documenti relativi all’illustre “pigionante” dell’Isolino.
Singolare può a prima vista apparire il repertorio che si delinea dai titoli: dal Mefistofele di Arrigo Boito alla Bohème di Puccini attraverso brani oggi desueti, che rievocano i salotti d’antan e trascrizioni per banda, pratiche musicali più largamente diffuse in anni ormai lontani.
Altrettanto singolare la spiegazione. Motivo e occasione di queste elaborazioni sono stati gli spartiti usciti dal baule del padre della pittrice: egli maestro di musica e compositore, aveva raccolto e conservato “pezzi” d’ogni genere, anche risalenti al nonno.
Ninfea
La tecnica dell’acquerello e quella del collage sono così unite per associare a squarci di paesaggio pagine pentagrammate di quaderni di musica, linee melodiche a profili di monti e di orizzonti, le sfumature trasparenti e luminose dei colori ad acqua agli accenti dinamici ed espressivi della musica.
I tratti veloci e avventurosi del pennello accompagnano o decifrano i tratti neri delle note: talora emergono simmetrie, talaltra contrasti, tuttavia i due linguaggi sembrano nella maggior parte dei casi compenetrarsi così che i colori sembrano venire dalla musica, i suoni dalle immagini, in uno scambio di voci ben concertato.
Le corrispondenze sono spesso sottili: è il caso di “Mefistofele-atto III”, dove la pagina di Boito, evocatrice di un lago alpino, detta i toni d’acque d’altura, le trasparenze un po’ cupe di un cielo intenso: l’immagine lascia immaginare gli effetti sonori di una trascrizione per ottoni.
L’acquerello rivela qui quanto una mano esperta possa ricavare da una tecnica che di solito si traduce in schizzi rapidi e “piatti”: Lo scorcio e il taglio dell’inquadratura danno profondità, anche drammaticità al paesaggio.
È facile immaginare che risultati di questo livello siano il frutto di una applicazione lunga e intensa, forse anche di qualche tecnica personale e particolare: ogni artista d’altronde sperimenta tenacemente e ritrova, nell’uso e nella stesura dei colori, gesti e caratteristiche originali.
Il melodramma e la figura di Toscanini campeggiano nell’acquerello che esplicitamente si riferisce al Maestro: “Silenzio, parla la musica”.
Sulla pagina dello spartito, in cui le pause di lungo silenzio preludono allo scatto dell’orchestra, da un lato si curvano i palchi dell’Opéra parigino, dall’altro l’immagine di Toscanini pronto a dare il via a un “tutti” energico e vibrante.
Ancora il melodramma ispira l’acquerello “Nei cieli bigi guardo fumar dai mille comignoli Parigi”: la pagina della Bohème pucciniana si spalanca sui tetti di Parigi. Nella cornice dello studio in soffitta che ha per solo arredo gli attrezzi del mestiere come ha per solo pane la speranza.
E cupo s’ode gemere il mare
A ricordarci come le regole del comporre musicale e quelle del comporre pittorico possano assomigliarsi, l’acquerello “E cupo s’ode gemere il mare” associa una pagina di manuale sui registri e la caratteristiche delle voci a uno “studio” di onde.
Una pagina musicale brillante e movimentata fa da sfondo e da colonna sonora ad aspre e vigorose linee di monti nell’acqerello”Sulle ali della musica”.
Alle note danzanti e sinuose di una Barcarola per mandolino e pianoforte si associano immagini di barche allineate sulla proda dirimpetto all’isola di San Giulio, docili ai ritmi cullanti del lago.
La pagina di un galop che immaginiamo eseguito in una festa della buona società, per la mani di signorine educate al ricamo e alla leggiadria, nell’acquerello “Libellule” ispira corolle acquatiche, forse di fioritura effimera.
È il senso del tempo e della fugacità che emerge da queste immagini, come da altre precedentemente citate era emerso il senso dello spazio e di misteriose profondità.
E in qualche modo l’acquerello “Eté” è la sintesi del lavoro dell’artista.
Infatti il titolo viene da quello del brano musicale posto a sfondo, ma dietro ai fiori che campeggiano in primo piano emerge anche la pagina di una celebre favola di La Fontaine: La cicala e la formica.
Così sono gli acquerelli di Carla Chiaberta: il frutto di un lungo e operoso accumulo di esperienze e di emozioni, la felicità istantanea e spontanea del canto. Non ci potrebbe essere il colore aperto e duttile dell’acquerello senza la tensione di un raccolto tempestivo e preveggente.
Si confermano così, nelle novità di queste opere recenti legate alla musica, le finezze e le delicatezze espressive testimoniate in anni precedenti da visioni di lago.
Ne sono efficaci esempi l’immagine dell’ isola Pescatori invasa e dominata da un sole rosseggiante, lo scorcio floreale colto in “Villa Taranto: emozioni di primavera”.
Se possiamo pensare che i paesaggi del verbano le abbiano propiziato il gusto per colori cangianti e ricchi di sfumature, dovremo riconoscere che anche in ogni altra esperienza, di viaggi e di prove, ha fatto tesoro: chiarezza e luminosità si uniscono alla sensibilità musicale e alle affettuose memorie familiari per intingere di emozione gli acquerelli più recenti.
L’innesto di aspetti materici sulla liquescenza dei colori ad acqua potrà aprire la via ad altre sperimentazioni, con possibilità anche sorprendenti se dagli accostamenti esplorati deriveranno delle conclusioni propiziatrici di ulteriori sviluppi: l’uso di lacerti cartacei, benché ricavati da oggetti concreti e riconoscibili, potrebbe anche svoltare nell’astrazione, nella ricerca di espressioni legate alla tecnica stessa dell’acquerello più che a visioni di paesaggio, a echi di memorie più che a ritratti dal vero.
Pier Angelo Garella

QUANDO IL COLORE DIVENTA DONO
In fatto di pittura, io sono come quei tifosi che non perdono una partita, ricordano tutte le date, e sanno tutto dei grandi campioni, ma non saprebbero tirare un calcio a un pallone. Non so disegnare neanche il profilo di una palma sul mare, ma adoro la pittura, inseguo le mostre, amo i grandi pittori, e invidia di tutto cuore la felicità di dipingere che talvolta affiora come un grido dall’immagine dipinta.
Fu questa felicità a colpirmi, quando vidi per la prima volta i lavori di Carla Chiaberta, e a fare di me una sua costante seguace e, in piccolo, anche una sua collezionista.
È una qualità che non ha molto a che fare con la tecnica, strettamente intesa; si vale della tecnica, si appoggia, per così dire, al talento compositivo e alla sensibilità cromatica, ma va al di là. Penso che attinga al più profondo della personalità, a quella zona interiore che ebbe diversi nomi nel corso dei secoli e che noi ora siamo abituati a chiamare inconscio. Ciò che si deposita qui, in questa terra segreta dove maturano lentamente le nostre esperienze, forma un ricco impasto vitale, quasi un humus del quale ci nutriamo senza saperlo; ed è un dono speciale degli artisti elaborarlo e rendercelo disponibile, come un inizio di dialogo, attraverso le loro opere. Quando questo accade, l’oggetto d’arte, qualunque esso sia, poesia o pittura o scultura o musica, parla direttamente all’inconscio di chi guarda o ascolta, e crea un miracoloso ponte di comprensione al di là delle parole. Io “so” che Carla è brava, perché me lo dicono gli esperti; ma “sento” da me quando riesce a dirmi qualcosa di più. E certo lo sente anche lei. In questo, io credo, consiste la vera felicità di un artista.
Carla si ispira spesso al Lago Maggiore, specialmente per i suoi acquerelli. Frequento questo Lago da una vita; ho imparato a conoscere le sue luci cangianti, le sue distese di seta chiara, i suoi momenti luminosi, e anche le sue giornate opache dove vibra appena il ricordo dell’estate. Col tempo, la mia conoscenza del Lago è diventata attaccamento e bisogno: mi manca, se ne resto lontana troppo a lungo. Mi mancano i suoi cieli perlacei, i profili precisi del Pedum, della Zeda, dei lontani monti svizzeri, lo spazio intorno alla barca o al traghetto quando ci si trova a metà della traversata. E rivederli, foss’anche la centesima volta, è una gioia. In questi momenti mi piacerebbe saper dipingere, per esprimere quello che provo: ma l’ho detto, non so tenere in mano né matita né pennello. Li ritrovo, trasformati in emozione pura, negli acquerelli di Carla. È proprio assurdo che io provi un’affettuosa riconoscenza per chi lo fa per me? Resto sempre affascinata davanti alla trasformazione del bianco della carta in neve, o in lontananza di luce; davanti al miracolo (consueto fin che si vuole, ma pur sempre miracolo, e ogni volta che avviene è come se avvenisse per la prima volta) dell’arte che trasforma i colori del tubetto in una realtà più vera della realtà.
Come quel magico angolo di giardino quasi incolto, subito riconoscibile per noi che frequentiamo queste rive e di giardini così ne abbiamo visti tanti: uno straordinario angolo denso di vegetazione, ma dove ogni pianta, ogni colore, ogni massa nella fuga verso il muro sbieco è precisamente se stessa, quasi botanicamente individuabile; si sente il caldo e il profumo sfatto dell’estate. O l’altro, tutto invece solare, dove una sdraio accanto alla balaustra aspetta chi si è appena alzato o sta per sedersi; il mandarino cinese è una macchia di colore, dietro c'e un sospetto di mare e le ombre sono piene della luce pomeridiana.
In una delle mostre più recenti, accanto ai paesaggi e ai gruppi di fiori Carla ci ha sorpreso con alcuni splendidi ritratti, un exploit insolito per chi usa la difficile tecnica dell’acquerello, che esclude i ripensamenti. L’esito è felicissimo: in questi volti di bambini stupefatti, nel grido, nello stupore del risveglio l’immediatezza del tocco è diventata uno strumento per cogliere l’immediatezza dell’espressione. E c’è qualcosa di più: guardate la giovane in abito da sera, fatta di tasselli azzurri al limite dell’astratto.
Qualcosa di più emerge con impeto anche dalla recente esperienza di Santorini. Colori nuovi, accesi, forse semplicemente greci (semplicemente?). Il bianco del foglio si è fatto più abbagliante che mai, aggredito dai verdi e dagli azzurri del mare, dalle forme asciugate dei fichi d’india, dall’esplosione dei rosa e dei rossi. Il gatto selvatico, rincantucciato in un angolo del foglio, da quale antichissimo canto è sbucato? Avrei voluto essere con Carla a Santorini, mentre lo riprendeva, per vedere se subito dopo non si sarebbe dissolto nell’aria; del resto, tutti i gatti, e specie quelli greci e selvatici, hanno la capacità di dissolversi appena girato l’angolo della casa, e di restare soltanto sul foglio disegnato.
Maria Pia Rosignoli

L’AMORE TOTALE DI CARLA PER L'ACQUARELLO

«Amo talmente tanto l'acquarello che sono contenta se qualcun altro lo ama: è la mia vita!» con gli occhi di una donna innamorata, Carla Chiaberta, parla della sua passione artistica che l'ha portata e continua a portarla ad esporre in tutto il mondo: Parigi, Dublino, New York, Johannesburg, Città del Messico, San Pietroburgo, Dallas, Anversa, solo per citare alcune delle mete.
L'acquarello «è come un’immagine pura, l'entrata in un mondo magico, è liquidità, è fondersi nei colori, è freschezza e sincerità. Ogni dipinto è come un avventura: so quando parto ma non so mai di riuscire a fare quello che vorrei perché non è prevedibile, non posso correggere e non sono permessi ripensamenti». Chiaberta esercita la sua tecnica da ormai più di trent'anni, inizialmente utilizza va soIo pittura ad olio ma una volta scoperto l’acquerello non lo ha più abbandonato. «Dipingo da sempre – racconta – la prima mostra l’ho fatta a 18 anni. Ho cambiato visione quando ad un'asta ho trovato un quadro del 1830 di Brown, talmente bello che mi ha dato lo spunto per avvicinarmi all'acquerello». Si perfeziona alla scuola Gruppo artistico Mediolanum alla fine degli anni 70 e da allora partecipa ad importanti manifestazioni d'arte sia con mostre personali che collettive. Nel 1991 viene eletta sociètaire del Salon d'Automne al Grand Palais di Parigi che le apre le porte per moltissime esposizioni e si avvia a una esclation di traguardi: premi. partecipazioni, lezioni e tanta soddisfazione. L’emozione della pittrice mentre ne parla è palpabile, quando dice che ormai è diventato la sua vita è vero, «non vendo quadri, faccio diverse mostre e tanti lavori su commissione che solitamente sono ritratti anche a personaggi noti oltre che a cittadini locali. Organizzo inoltre corsi sia in giro per l'Europa che in Italia, per coloro che sono già capaci e vogliono perfezionare la tecnica creo un ricco percorso ma concentrato in pochi giorni».
Alice Zanfardino